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Prese in mano un catarifrangente e, incollandolo sulla tela accanto a una maglietta stinta, un parasole divelto e la foto-souvenir di un vaso greco, disse: << Mi dispiace che molti trovino brutti i tappi di Coca-Cola e i copertoni d'automobile: vivere quotidianamente circondati da simili nefandezze deve renderli profondamente infelici >>. Lui, Robert Rauschenberg, la pensava ben diversamente,  impegnato com'era a introdurre nell'immacolato Olimpo della pittura il suo vorace voyeurismo da marciapiede. E in quegli anni (1954) in cui dipingere era considerato una sorta di psicodramma, una liberazione gestuale di angosce individuali, contaminare l'arte con le volgarità della strada era un insulto non facilmente perdonabile.

E difatti, in una New York osannante all'action painting, Rauschenberg sopravviveva di stenti secondo la migliore tradizione del melodramma pucciniano. Dormiva su cassette di legno raccattate dal vicono mercato ittico, si nutriva con quindici cents al giorno e andava a piedi per risparmiare il metrò. None che se la fosse mai passata meglio, né nella nativa Port Arthur dove suo nonno medico berlinese si era misteriosamente trapiantato sposando una indiana cheroquee, né nella Parigi postbellica, tetro sacrario di glorie polverose e accademismi tronfi. Forse solo al Black Mountain College si era sentito parzialmente accetto, anche se il mastro Albers osservava con crescente costernazione gli imprevedibili risultati del suo rigoroso e austero insegnamento. Portavoce del Bauhais e della purezza geometrica, Albers si affannava a spiegare che i colori si equivalgono tutti, che l'uso di uno piuttosto che dell'altro è pura e semplice preferenza personale e che la scelta di una forma deve obbedire a uno schema predeterminato. Come tutto risultato l'allievo Rauschenberg produceva quadri che non solo annullavano i colori ma abolivano anche la forma, immergendo la tela in una generica nebulosità quasi monocroma. << Le Questioni siggettive di gusto non mi interessavano affatto >>, dice Rauschenberg; ,,colori e materiali mi piacevano in quanto tali e utilizzare il rosso per far sembrare il verde più verde mi sembrava una strumentalizzazione abritraria>>.

Nel giro di due anni (1952) i quadri diventarono completamente bianchi, disponibili ad accogliere i riflessi colorati del tramonto o le ombre di passaggio, a combiare sfumatura a seconda della luce o a scomparire nella parete se necessario. Cmoe nella composizione per pianoforte del suo amico Cage, in cui il pianista siede immobile e silenzioso davanti alla tastiera per quattro minuti e trentatré secondi e la musica non è altro che i rumori dell'uditorio, nelle opere di Raushenberg l'emotività dell'artista veniva sempre più sostituita dalla casualità dell'environment. Dal riflesso sulla superficie quasi specchiante della ela al progressivo inserimento prima di oggetti e poi di immagini della vita quotidiana, l'itinerario di Rauschenberg è il trait-d'union tra la contestazione, dall'orinatoio di Duchamp alle minestre Campbell di Warhol, da i gesti dissacratori dei dada ale polemiche comportamentiste della body-art. Quando l'arte americana sembrava ormai a un bivio ineluttabile dove come unica alternativa alla rarfazione distruttiva di Duchamp si poneva il tormento egocentrico di Pollock, una scelta tra l'arte tutta cervello e l'arte tutta emozioni, Rauschenberg coltivava muschio nelle sue sculture "di sporco" e raccattava immondizie dalle pattumiere di New York. Per l'ingenuo texano che aveva visto per la prima volta un wuafro a diciott'anni, l'aggressività sfavillante della metropoli conteneva ben più di qualsiasi museo. << Un palazzodi quaranta piani accanto a un tugurio, un villino riattato tra il mervato ittico e un grattacielo bancario, un agglomerato irrazionale di cose, montagne di detriti, vetrine del benessere e unanità derelitte >>.

Da un equo dosaggio di entusiasmo e indigenza scaturì un profondo rispetto per i materiali che utilizzava, sia che fossero rottami elettrici recuperati in extremis, sia che fosse un costoso ariete impagliato, pagato in contanti e destinato a diventare, con un compertone infisso nei glutei e del dentifricio verde impiastricciato sul muso, una delle sue opere più polemizzate. << Ho sempre cercato un rapporto amichevole con i materiali, usandoli per quello che sono senza temtare di alterarli o modificarli >>, dice Rauschenberg. Infatti, mentre Schwitters utilizzava il collage per fare del cubismo, egli usa il collage e l'assemblaggio (combine) per trasportare il mondo nelle sue tele, per recuperare l'incongrua bellezza della realtà e rendre il quadro e la scultura non oggetti da parete ma una sorta di documentario in process in cui la banalità de quotiano acquista una dignità che decoli di pittura le aveva sistematicamnte negato. L'Inferno dantesco illustrato da Rauschenberg nel 1960 è popilato, come la Divina Commedia, di personaggi noti e di oggetti della civiltà contemporanea. Kennedy, Nixon, maccine da corsa, armi nucleari e maschere antigas vengono riproposti non con una finzione di tipo realista né come elenenti allegorico-simbolici ma in quanto costituiscono il nostro inferno giornaliero nei quali l'individuo (Dante è un signore qualunque reduce dalla doccia con l'asciugamano intorno ai fianchi) si aggira tra l'indifferenza e l'angoscia.

<< Non mi sono mai illuso che i problemi politici fossero tanto semplici da poterli affrontare io stesso direttamente. Penso invece che impegnandosi a fondo giorno per giorno nel proprio lavoro, evitando di evadere nei sogni, negli idealismi e nella protesta coltivata, alla lunga si conduce una battaglia più tenace e force più efficace >>. E difatti, al di là dell/apparente poliedrico entusiasmo che l'ha condotto dalle tele monocrome alle accumulazioni irose, dalla cancellazione di un disegno di de Kooning ai monoliti di scatoloni di imballaggio, dai primissimi happenings alle litografie, Rauschenberg mantiene un filo conduttore che è l'espressione più polemica e acuta della società capitalista nel suo stadio più avanzato. Se dalle azioni teatrali degli anni '60 trapelava il mito americano della tecnologia come possibile redenzione dell'uomo dalla catastrofe, esse anticipavano al tempo stesso i gesti provocatori dei moti studenteschi, così come le litografie composite in cui Kennedy appare circondato da immagini del Botticelli e animali imbalsamati furono un segno stranamente premonitore della sorte del Presidente. Il voyeurismo da marciapiede, facoltà di cogliere la vita belle sue forme più imprevedibili, si fonde in Rauschenberg con la veggenza del medium capacità di svelare l'occulto, di prevedere e anticipare. Le sue ultime opere, le "Early Egyptian Series" e le "Scriptures", in cui l'oggetto industriale scompare in preda a un ripensamento acheo-ecologico, corrispondo

Ne;;e illustrazioni :
1, Rauschenberg mentre gioca a domino nel suo studio di Captiva.
2 e 4, nella galleria di Leo Castelli a New York tra alcune sue opere Realizzate con i recuperi di prodotti industriali che vengono proposti come oggetti di meditazione archeo-ecologica.
3, a Captiva mentre levora ad una scultura "Egyptian", a cui si è didicato  quando verso il 1970 si trasferì nell'isola.

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